RICORDI DEL FESTIVAL 2015: LA CUCINA DI STRADA ABRUZZESE E MOLISANA
Continuiamo a ricordare il Festival del Cibo di Strada.
Vi proponiamo le suggestioni del giornalista Davide Buratti che ha moderato con sagacia e sapienza gli Incontri di Gusto durante il Festival.
Domenica 4 ottobre: la cucina di strada Abruzzese e Molisana.
"Quello del cibo di strada è un mondo affascinante, ma dai confini molto labili. Non essendoci un disciplinare spesso comprende anche cibi che difficilmente potrebbero essere codificati come street food. Invece ce ne sono alcuni che non compaiono mai, ma che, a mio avviso, avrebbero tutte le caratteristiche per farne parte. Innanzitutto penso alla gricia, la amatriciana (o matriciana, come dicono a Roma) senza pomodoro. Per qualcuno è anche la carbonara senza uovo. Cambiano i fattori, ma il prodotto è sempre lo stesso: nella sua semplicità è qualcosa di inarrivabile. Fra i cibi di strada ci può stare benissimo in quanto la gricia (guanciale e pecorino) era la pasta preferita (perché facile da preparare) dai pastori durante la transumanza. Stesso discorso per la cacio e pepe.
Adesso la transumanza è una pratica dimenticata. “Ora si fa soprattutto con i camion” ha detto Eliodoro D’Orazio, presidente Slow Food Abruzzo e Molise, nel corso del quarto incontro organizzato durante la recente edizione di Saporìe (Cesena 2-4 ottobre).
Lo stand dell’Abruzzo Molise era molto interessante ed è stato parecchio gettonato. Era gestito da Agnese Volpone e Maurizio Cutropia, moglie e marito e storici produttori di carne. Entrambi erano presenti all’incontro.
L’offerta era quella non solo classica, ma anche attesa. Per lo meno per quanto riguarda gli arrosticini, un classico della street food abruzzese. Si tratta di spiedini di carne di pecora. Gli arrosticini di ovino adulto, famosi in tutta Italia, hanno antiche origini pastorali. Raccomandazione importante: vanno mangiati sfilando i pezzi di carne con i denti dal ceppo, ovvero dallo “spiedino”. Al Festival si potevano gustare anche quelli prelibati di fegato, cipolla e peperoncino, preparati appositamente dalla produttrice. Interessante anche il crostino. Molto semplice, ma buonissimo perché i tre ingredienti (pane, pomodoro e olio) erano di altissimo livello. Altro classico era la porchetta. Ma alle mandorle. L’aspetto era quello solito, ma il sapore assolutamente no. Non è imbottita di sapori. Il classico è il finocchio selvatico. Ma c’è anche chi sceglie il rosmarino. Quella alle mandorle non ha odori. Ma ha una delicatezza che la rende inconfondibile. La porchetta farcita con le mandorle nasce da un’antica tradizione abruzzese, che affonda le sue radici nel piccolo comune di Carpineto Sinello (CH). La tradizione richiede che il suino, prima di essere infornato, venga condito con aromi e mandorle lasciandolo riposare per circa 3 ore ad una temperatura di 4 gradi. L’antica ricetta è stata tramandata di generazione in generazione per un prodotto speciale e dal sapore inimitabile, introvabile al di fuori della provincia di Chieti (Abruzzo). La porchetta alle mandorle, selezionata dall’azienda Bracerie di Strada di San Giovanni Teatino (CH) è prodotta nel laboratorio a San Salvo (CH) dai F.lli D’Addario, che da generazioni sono custodi di questa tradizione. Al Festival di Cesena prosegue quindi la volontà di far conoscere antiche tradizioni e cibi introvabili. E poi il Molise con la salsiccia rossa molisana e i cavatelli con la ventricina di Montenero di Bisaccia, a cura dello chef Marx Di Nello.
All’incontro era presente anche Giampaolo Angelotti, presidente nazionale di Fiesa Confesercenti. “Quella del macellaio - ha esordito - è un mestiere molto cambiato. Se pensiamo a 40-50 anni fa, il macellaio era una figura centrale della vita di un paese, insieme al sindaco, al parroco, al medico. Il macellaio muoveva l’economia del territorio, andando a ricercare personalmente la carne. Oggi è rimasto una figura rara. E, soprattutto, chi vuole abbracciare questa professione deve avere una conoscenza direi universitaria su molte materie, dalla dietetica all’informatica. Oggi la bilancia è un computer, tanto per rimanere all’attività quotidiana”.
Ha poi aggiunto che oggi il macellaio è anche gastronomo. Inoltre si è detto leggermente ottimista sul settore delle carni. “È in ripresa - ha detto -. La gente mangia meno, ma mangia meglio, il pranzo della domenica e delle feste comandate è sacro. E si affida ancora al macellaio come consulente per coniugare qualità e prezzo”."
Davide Buratti
Vi proponiamo le suggestioni del giornalista Davide Buratti che ha moderato con sagacia e sapienza gli Incontri di Gusto durante il Festival.
Domenica 4 ottobre: la cucina di strada Abruzzese e Molisana.
"Quello del cibo di strada è un mondo affascinante, ma dai confini molto labili. Non essendoci un disciplinare spesso comprende anche cibi che difficilmente potrebbero essere codificati come street food. Invece ce ne sono alcuni che non compaiono mai, ma che, a mio avviso, avrebbero tutte le caratteristiche per farne parte. Innanzitutto penso alla gricia, la amatriciana (o matriciana, come dicono a Roma) senza pomodoro. Per qualcuno è anche la carbonara senza uovo. Cambiano i fattori, ma il prodotto è sempre lo stesso: nella sua semplicità è qualcosa di inarrivabile. Fra i cibi di strada ci può stare benissimo in quanto la gricia (guanciale e pecorino) era la pasta preferita (perché facile da preparare) dai pastori durante la transumanza. Stesso discorso per la cacio e pepe.
Adesso la transumanza è una pratica dimenticata. “Ora si fa soprattutto con i camion” ha detto Eliodoro D’Orazio, presidente Slow Food Abruzzo e Molise, nel corso del quarto incontro organizzato durante la recente edizione di Saporìe (Cesena 2-4 ottobre).
Lo stand dell’Abruzzo Molise era molto interessante ed è stato parecchio gettonato. Era gestito da Agnese Volpone e Maurizio Cutropia, moglie e marito e storici produttori di carne. Entrambi erano presenti all’incontro.
L’offerta era quella non solo classica, ma anche attesa. Per lo meno per quanto riguarda gli arrosticini, un classico della street food abruzzese. Si tratta di spiedini di carne di pecora. Gli arrosticini di ovino adulto, famosi in tutta Italia, hanno antiche origini pastorali. Raccomandazione importante: vanno mangiati sfilando i pezzi di carne con i denti dal ceppo, ovvero dallo “spiedino”. Al Festival si potevano gustare anche quelli prelibati di fegato, cipolla e peperoncino, preparati appositamente dalla produttrice. Interessante anche il crostino. Molto semplice, ma buonissimo perché i tre ingredienti (pane, pomodoro e olio) erano di altissimo livello. Altro classico era la porchetta. Ma alle mandorle. L’aspetto era quello solito, ma il sapore assolutamente no. Non è imbottita di sapori. Il classico è il finocchio selvatico. Ma c’è anche chi sceglie il rosmarino. Quella alle mandorle non ha odori. Ma ha una delicatezza che la rende inconfondibile. La porchetta farcita con le mandorle nasce da un’antica tradizione abruzzese, che affonda le sue radici nel piccolo comune di Carpineto Sinello (CH). La tradizione richiede che il suino, prima di essere infornato, venga condito con aromi e mandorle lasciandolo riposare per circa 3 ore ad una temperatura di 4 gradi. L’antica ricetta è stata tramandata di generazione in generazione per un prodotto speciale e dal sapore inimitabile, introvabile al di fuori della provincia di Chieti (Abruzzo). La porchetta alle mandorle, selezionata dall’azienda Bracerie di Strada di San Giovanni Teatino (CH) è prodotta nel laboratorio a San Salvo (CH) dai F.lli D’Addario, che da generazioni sono custodi di questa tradizione. Al Festival di Cesena prosegue quindi la volontà di far conoscere antiche tradizioni e cibi introvabili. E poi il Molise con la salsiccia rossa molisana e i cavatelli con la ventricina di Montenero di Bisaccia, a cura dello chef Marx Di Nello.
All’incontro era presente anche Giampaolo Angelotti, presidente nazionale di Fiesa Confesercenti. “Quella del macellaio - ha esordito - è un mestiere molto cambiato. Se pensiamo a 40-50 anni fa, il macellaio era una figura centrale della vita di un paese, insieme al sindaco, al parroco, al medico. Il macellaio muoveva l’economia del territorio, andando a ricercare personalmente la carne. Oggi è rimasto una figura rara. E, soprattutto, chi vuole abbracciare questa professione deve avere una conoscenza direi universitaria su molte materie, dalla dietetica all’informatica. Oggi la bilancia è un computer, tanto per rimanere all’attività quotidiana”.
Ha poi aggiunto che oggi il macellaio è anche gastronomo. Inoltre si è detto leggermente ottimista sul settore delle carni. “È in ripresa - ha detto -. La gente mangia meno, ma mangia meglio, il pranzo della domenica e delle feste comandate è sacro. E si affida ancora al macellaio come consulente per coniugare qualità e prezzo”."
Davide Buratti